De vulgari eloquentia

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Seba91
view post Posted on 23/3/2008, 15:22




Il "De vulgari eloquentia" è un trattato di retorica che stabilisce le regole nell'uso del volgare, con conseguente affermazione del volgare come lingua letteraria.

L'opera fu scritta da Dante nello stesso periodo del "Convivio" e a differenza di quest’ultimo è scritta in latino e doveva comprendere quattro libri, ma Dante ne scrisse solamente uno e mezzo.

Il primo libro parla del "volgare illustre", adatto ad uno stile sublime, per argomenti importanti.

Ma prima di ciò bisogna sapere che per la retorica medievale vi erano tre stili della lingua:

- sublime o "tragico"

- mezzano o "comico"

- umile o "elegiaco"

per Dante il volgare "illustre", del primo stile, deve essere

- "cardinale": cardine di tutti i volgari municipali

- "aulico": proprio della reggia (aula), se ci fosse stata in Italia

- "curiale": con l'eleganza e la dignità delle eccellentissime corti, una delle quali, in Italia, era rappresentata dagli uomini di cultura (membra della corte).

In quest’opera, Dante, dopo una storia del linguaggio (che parte da Babele), ricerca un volgare italiano che abbia queste caratteristiche, ma non lo trova e ne affida l'elaborazione alle membra della corte (gli uomini di cultura dell’epoca).

Nel secondo libro espone gli argomenti per cui si doveva usare il volgare "tragico": l'amore, le armi e la virtù.

Infatti la forma poetica che si addice a questi argomenti è la lirica, quella con più antica tradizione. Qui ritroviamo la presa di coscienza dell'allargamento d'orizzonti riguardo agli argomenti nella poesia di Dante. La "Commedia" usa invece lo stile "comico", utile a descrivere sia l'inferno (dove troviamo anche espressioni molto basse “…taide merdona…”) che il paradiso (dove il lessico cambia di tono e si fa più colto e ricercato).

 
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