Michela (3)

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"hari_seldon"
view post Posted on 26/8/2009, 21:33




Il locale era talmente silenzioso che il rumore, dei suoi tacchi prima, e dello strofinio che facevano le sue calze quando camminava, costrinsero tutti a volgere lo sguardo su di lei. Arrossì leggermente, ma continuò a muoversi, affrontando il corridoio tra gli scaffali delle riviste porno. Gli altri distolsero subito lo sguardo, vergognandosi di essere lì. Ma cominciarono, tutti insieme, a muoversi strategicamente, per poter osservare meglio quella donna che osava entrare in un porno shop. Una puttana ? Si domandarono sicuramente. Ma dall’aspetto non si sarebbe certo detto. Era molto semplice e molto elegante, fasciata da un vestitino di leggerissima lanetta chiara che, se osservato con attenzione, lasciava indovinare la linea del reggiseno e i rilievi delle giarrettiere dove il reggicalze pinzava le calze velate. Ai piedi, chanel nere. Il vestito sottolineava i fianchi torniti e valorizzava le gambe, lunghe rispetto al corpo e piene. Non lo sapevamo, in quel momento, ma stavamo per scoperchiare un vaso di pandora sessuale e per fare un incontro che avrebbe segnato un punto importante della nostra vita. Ho un ricordo vivissimo di quella serata, pieno di dettagli che voglio condividere con voi perché alcune di quelle cose ritorneranno poi. Lo scaffale che percorreva conteneva quasi esclusivamente le riviste della mitica “Color Climax”, che non conoscevamo ancora : “Anal Sex” ,“Private”, “Pirate” e simili. Copertine favolose : cazzi fantastici, doppie penetrazioni, sborrate su lingue e labbra e visi di (finte) adolescenti, tutte bellissime. Intervallate da lesbiche assatanate che si penetravano con falli enormi. E qualche nero dalla nerchia gigantesca e dal nome improbabile come “Long Dong John” (di cui vi risparmio la traduzione). Poiché la conoscevo benissimo, non mi meravigliai vedendo che rallentava il passo, rendendosi conto delle foto che aveva sotto gli occhi e, prima un po’ di sottecchi, poi, come se avesse fatto un ragionamento che alla fine l’aveva convinta, non solo fermandosi, ma addirittura prelevando e sfogliando la rivista che l’aveva colpita. Ero troppo lontano e impegnato a fingermi indifferente per notare quale fosse in quel momento; era un vecchio numero di Private, il numero 91 per la precisione : lei lo comprò quel giorno e ancora oggi ne conservo una versione scannerizzata. Michela, con la rivista in mano, proseguì sbirciando rapidamente lo scaffale delle video cassette (non avevamo un lettore lì con noi) e si soffermò molto più a lungo sui “gadget”, lanciando sguardi ai vibratori e ai falli finti disposti in ordine di grandezza : piccoli in alto, grandi al centro (con due varianti di doppio fallo per penetrazione ano-vaginale) e mostruosi in basso. Naturalmente, si concentrò, faceva parte del gioco, su quelli mostruosi. Quando si chinò per prendere un gigantesco fallo nero con una base che simulava due grossi coglioni tagliata in basso così da poterlo appoggiare, lo fece avendo cura di non piegare le ginocchia, in modo da mostrare ai fortunati che erano sulla linea di visuale, le sue meravigliose cosce incorniciate dai bordini delle calze. L’abitino le salì fino al limite delle chiappe, per cui, per un attimo, chi poté osservò anche che non portava mutande: un ciuffetto di pelo scuro faceva infatti capolino dalla fessura tra le cosce. La paradisiaca visione durò un istante – sufficiente a far rizzare almeno tre cazzi, da quanto potevo vedere – poi si avvicinò al bancone, sotto lo sguardo della ragazza che evidentemente l’aveva trovata più interessante della soap opera che seguiva con un occhio solo. “Ciao” disse Michela appoggiando i suoi acquisti sul bancone. “Ciao.” Rispose la ragazza “sono Carmen. Ti serve altro?”. Io intanto mi ero strategicamente avvicinato, per poter seguire la conversazione, e intanto frugavo tra le video cassette, esaminandole con attenzione da intenditore. “Bé, forse sì. Dipende. Si possono provare ?” disse Michela facendo un gesto della mano ad indicare la biancheria intima, esposta alla sua sinistra. “Se ti riferisci alla biancheria” rispose Carmen con un sorriso tra ironico e arrapato “ certo. Se invece ti riferisci a questo “ e mise una mano sul fallo nero “possiamo parlarne ….”. Giuro che Michela fu presa completamente alla sprovvista e arrossì violentemente (cosa piuttosto rara) prima di riprendere il controllo. “Alla biancheria “ disse “e per il resto, parliamone”. “Vieni, dai” disse Carmen scostando la tenda e rivelando l’ambiente interno, che, potei notare, era riservato al fetish e al sado-maso. “puoi metterti lì, nessuno ti vede e se mi dici cosa ti interessa, ti passo io i capi”. Evidentemente una sorta di camerino si apriva parallelamente alla tenda, impedendo lo sguardo dal negozio principale, per cui mi spostai proprio a fianco della tenda stessa : se non potevo guardare, almeno avrei ascoltato. Dal fruscio capii che Michela si era sfilata il vestito “quella guepiere nera con gli inserti rossi” la sentii. Carmen si spostò per prendere il capo richiesto e potei finalmente osservarla per intero. Decisamente una bella ragazza, dal seno pieno e dalle gambe abbronzate, abbellite da una cavigliera d’oro. Indossava degli zoccoletti e aveva le unghie dei piedi accuratamente laccate di rosso. La gonna le fasciava i fianchi pieni e sodi. Mani curate dalle dita lunghe. Una bella ragazza, sui venticinque avrei detto. Rientrò con la guepiere e si fermò davanti al camerino. La porta era evidentemente aperta perché la sentii sussurrare “Ma le mutande?” “Non le uso quasi mai” “Togliti il reggiseno, se no non puoi infilartelo” “Infilarmi cosa ? Di solito per infilarmelo basta togliermi le mutande, che non ho.” “Il bustino, cara! Il bustino”. Mentre si infilava la guepiere, Carmen si affacciò per controllare che i clienti non approfittassero della sua assenza per fregarsi qualcosa. “Allora come sto?” la voce di Michela la richiamò all’interno. “Mamma mia, faresti intostare un morto” rispose Carmen a voce bassa e roca. Era colpita e arrapata. “Guarda come mi fa il didietro” proseguì Michela, evidentemente girandosi. “Perfetto. Magari ti aggiusto un po’ questa bretellina” e scomparve nel camerino, uscendone solo dopo due minuti. Era evidentemente eccitata e leggermente fuori fase. “Ok, lo prendo” disse Michela e due minuti dopo le allungava la guepiere. “Trovami anche un paio di calze di seta. Rosse”. “Rosse ?” “Sì, rosse. Mi piacciono e fanno pendant”. Uscita dal camerino, Michela si mise a curiosare in giro; dopo un po’, uscì con una rivista in mano e posò anche quella sul bancone, ma stando dalla parte di Carmen; avvicinò la testa alla sua e si misero a parlare fitto. Non riuscivo a capire una parola. Poi scrisse un biglietto, prese 150.000 lire dal portafoglio e, senza dire una parola né lanciarmi uno sguardo, uscì. A mani vuote. Dopo dieci minuti e senza comprare nulla (avevamo speso già abbastanza!) la raggiunsi all’isolato successivo. Ci infilammo in un bar e prendemmo un separé per stare soli. “Bé ?” Chiesi “Poco per centocinquantamila lire”. “Consegna a domicilio, scemo”. “Quando ?”. “Domattina alle nove. Meglio che fai colazione con lo zabaglione”. “Tu dici?”. “Dico”. “E quella rivista che hai preso dentro?” “Ecco, di quella dovremmo parlare. Sai mi ha fatto uno strano effetto. Molto strano. In effetti, è una cosa che stavo pensando da quando abbiamo fatto quel giochino coi muratori”. “Bé, che ti piacessero molti cazzi ce lo eravamo detti mille volte”. “Comincio a pensare che sia qualcosa di un po’ diverso, Giuseppe. Ne parliamo domani, vuoi ?”
 
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